sabato 3 marzo 2018

Il Patriarca Giuseppe nella liturgia quaresimale

La liturgia della Quaresima conferisce un ruolo particolarmente importante alla storia del Patriarca Giuseppe, venduto come schiavo dai suoi fratelli, come si racconta in Genesi XXXVII. Questo episodio viene letto tradizionalmente nella Messa del venerdì della II settimana di Quaresima (versetti 6-22), e ripreso poi in forma più lunga (versetti 2-28) nell'Ufficio del Mattutino della Domenica seguente, la III di Quaresima, come lettura del primo notturno. Nelle Messe e negli Uffici quaresimali vengono lette anche altre storie dalla Genesi, come la Creazione (cap. I), la vicenda di Noè (capp. VI-VIII) e la Benedizione di Giacobbe (cap. XXVII), ma solo quella di Giuseppe viene ripetuta per ben due volte.

Le letture dell'Ufficio fanno parte di un corso regolare tratto dalla Genesi che è iniziato con la Domenica di Settuagesima; i responsori del Mattutino per la terza settimana di Quaresima sono tratti dal capitolo seguente, in cui Giuseppe si reca in Egitto, diventando l'uomo di fiducia del Faraone, e alfine salvando la propria famiglia dalla grande carestia di sette anni. Nella Messa, tale racconto viene letto specificatamente in un venerdì, guardando alla Passione di Cristo del Venerdì Santo, a cagion del modo in cui la vicenda di Giuseppe fu interpretata dai Padri della Chiesa.

Il sogno di giuseppe dei corpi celesti e dei covoni di grano

Già nei primi anni del III secolo, Tertulliano spiegò le sofferenze di Giuseppe come prefigurazione della Passione di Cristo: Lo stesso Giuseppe fu pure una figura di Cristo, per quanto concerne questo punto, ossia ch'egli soffrì la persecuzione per mano de' suoi fratelli, e fu venduto in Egitto, a motivo del favore di Dio, proprio come Cristo fu venduto da Israele, ovverosia dai Suoi fratelli, quando fu tradito da Giuda. (Adversus Judaeos 10)

Per S. Ambrogio, anche la condizione di Giuseppe, il più giovane dei figli di Giacobbe, ne fa una figura di Cristo, che venne come ultimo degli emissari di Dio, proprio come il figlio nella parabola dei vignaioli assassini (Matteo XXI, 33-46), che viene letta sempre durante il venerdì della II settimana di Quaresima. Nel suo trattato Sulle benedizioni dei Patriarchi (11,48), che spiega le benedizioni impartite da Giacobbe ai suoi figli in Genesi XLIX, scrive: Il mio figliuolo, dice egli, è il più giovane. Veramente è il più giovane, imperocché ei fu l'ultimo nato. E la scrittura dice: "Giacobbe l'amava, poiché era figlio della sua vecchiaia" (Gen. XXXVII, 3). Pure questo si riferisce a Cristo, poiché il figliuolo di Dio, mediante il parto della Vergine Maria, venne per ultimo, risplendendo su di un mondo già vecchio e in rovina, e, come il figlio della vecchiaia secondo il mistero, prese un corpo, ancorché egli esistesse da prima de' secoli unito al Padre. (Nota: l'espressione di Ambrogio filius meus adulescentior è la trascrizione della lettura dei Settanta di un passo biblico di Genesi XLIX notoriamente difficile da interpretare).

La tunica di Giuseppe, che i suoi fratelli gettarono nel sangue di capra al fine di far credere a Giacobbe ch'egli fosse stato ucciso da un animale, è allora interpretabile come un simbolo del corpo che Cristo assunse per Sé durante l'Incarnazione, sicché Egli potesse andare alla Sua Passione. La tunica era insanguinata, come il corpo di Cristo fu insanguinato, se ci volgiamo ancora al Venerdì Santo. S. Ambrogio dice esplicitamente, nella sua Esposizione sul Vangelo secondo Luca (5, 107): La tunica di Giuseppe fu insanguinata a somiglianza del Corpo del Signore. La lettura della Messa, comunque, termina con Ruben che ferma gli altri fratelli che meditavano di uccidere Giuseppe, supponendo che i fedeli conoscessero la prosecuzione della storia.

Jan Lievens, Giacobbe riceve la tunica di Giuseppe

Naturalmente, la Quaresima è anche il periodo in cui la Chiesa prepara i catecumeni alla ricezione del Sacramento del Battesimo nella Notte di Pasqua, e molte delle letture tradizionali delle Messe quaresimali sono scelte nell'ottica della loro istruzione. Per S. Agostino, Giuseppe prefigura l'ingresso dei gentili nella Chiesa mediante il Battesimo; commentando le parole del Salmo LXXX, 6 "Testimonium in Joseph posuit illud, cum exiret de terra Ægypti", dice: Giuseppe viene tradotto come "crescita". Voi ricordate, sapete che Giuseppe fu venduto in Egitto: questo è Cristo che passa ai gentili... Giuseppe è maggiormente relato ai gentili, e pertanto è chiamato "crecita", poiché "molti sono i figliuoli del deserto, più di quelli di colei che ha un marito (Isaia LIV, 1; Agostino intuisce che i "figliuoli del deserto" sono i gentili, e i figli di "colei che ha un marito" sono i figli d'Israele)... Quando Giuseppe uscì dal paese d'Egitto, e cioè il popolo che si moltiplicò da Giuseppe, passò il Mar Rosso... il passaggio del popolo attraverso il fiume prefigura esattamente questo, il passaggio dei fedeli mediante il Battesimo. L'Apostolo mi è testimone, quando dice: "Poiché non vorrei che voi ignoraste, o fratelli, che i nostri Padri furon tutti sotto la nuvola e che tutti passarono attraverso il mare. E tutti in Mosè furono battezzati, nella nuvola e nel mare" (1 Corinti X, 1-2). Pertanto, il passaggio attraverso il mare altro non significa che il Sacramento di colui che vien battezzato.
L'interpretazione dell'Attraversamento del Mar Rosso è peraltro estremamente antica; la scena appare in molti sarcofagi paleocristiani, e la storia viene letta durante la veglia pasquale in tutti i riti cristiani.

L'Attraversamento del Mar Rosso, scolpito su di un sarcofago paleocristiano, il cui fronte è utilizzato attualmente come fronte di un altare laterale della Cattedrale di Arles

Nel suo libro dedicato appositamente a Giuseppe, S. Ambrogio spiega anche uno dei sogni raccontati nella suddetta pericope come profezia di alcuni aspetti della vita di Cristo.
Finalmente, nel fanciullo si manifestava la grazia divina, poiché mentre egli sognava, quando avea legato con fasci i suoi fratelli, la qual cosa potrebbe essergli apparsa come una visione, il suo covone si alzò, e si rizzò in alto; e allora quelli de' suoi fratelli si volsero a lui e lo venerarono. In questo è sicuramente rivelata la futura risurrezione del Signore Gesù, che gli undici discepoli venerarono quando lo videro in Gerusalemme... (De Joseph Patriarcha, cap. 2, 7)

La storia di Giuseppe letta nel venerdì della II settimana fa una profezia non solo di quanto avverrà il Venerdì Santo, ossia la Passione, ma si volge anche al Venerdì della settimana di Pasqua, il cui Vangelo tradizionalmente è S. Matteo XXVIII, 16-20, in cui Cristo incontra gli undici, "ed essi Lo adorarono".

Uno dei testi più caratteristici della Quaresima nel Rito Bizantino è il Canone di S. Andrea di Creta (ne abbiamo parlato QUI, ndt), che contiene sovente spiegazioni allegoriche e mistiche della Scrittura, derivate da ambo i Testamenti. I seguenti quattro troparj si riferiscono alla storia di Giuseppe.

Io confesso a Voi, o Cristo Re: ho peccato, ho peccato, come i fratelli di Giuseppe un tempo, che vendettero il frutto della castità e della prudenza! (I Padri della Chiesa videro Giuseppe come modello di castità, poiché ricusò i corteggiamenti della moglie di Potifarre, e di prudenza, a cagion del fatto che non salvò solo la sua famiglia, ma l'intero Egitto dalla carestia).

L'anima giusta fu venduta dai suoi parenti; l'unico amato fu venduto qual schiavo, come modello del Signore; e tu, o anima mia, fosti venduta interamente alle tue scellerate azioni.

Imita Giuseppe il giusto e la sua prudenza, o anima mia scellerata e infelice, e non esser oltre lasciva, e non abbandonarti a irragionevoli impulsi.

Se Giuseppe un tempo fu gittato in una cisterna, o Signore e Maestro, fu a immagine della Vostra sepoltura e risurrezione; ma cosa mai potrò io di simile portare a Voi?

Giuseppe gittato nella cisterna e venduto ai mediani in un'icona di Teodoro Poulakis.

Di Giuseppe si fa altresì una speciale commemorazione il Lunedì Santo (vedasi anche QUI, ndt):

Giuseppe, prefigurando il Signore, è gittato nella cisterna, è venduto dai suoi parenti: ben si sa ch'egli ogni dolore patì, quale vera icona di Cristo. (dalla Compieta)

Deh, a lamentazione aggiungi lamentazione, e piangi lacrime, dolendoti con Giacobbe per Giuseppe, onesto e prudente, fatto schiavo nel corpo, ma preservato dalla schiavitù nell'anima, che divenne signore di tutto l'Egitto, perché Iddio garantisce una corona immortale a chi devotamente lo serve. (dal Mattutino)

Fonte. Traduzione a cura di Traditio Marciana.

1 commento:

  1. Consiglio la lettura della tetralogia che T. Mann ha dedicato alle storie di Giacobbe e di Giuseppe.

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