martedì 24 ottobre 2017

Contro Lutero

In relazione all'articolo recentemente apparso su La Civiltà Cattolica (qui), ai numerosi apprezzamenti pubblicamente espressi dai vertici della Chiesa nei confronti dell'eresiarca Martin Lutero, e all'approssimarsi del cinquecentesimo anniversario dell'affissione delle 95 Tesi, il documento che diede inizio all'opera contestatoria dell'agostiniano apostata, pubblichiamo l'estratto di un libro di catechesi, circa la reale natura del pensiero di Lutero.



In questi tempi caratterizzati da grande ignoranza e radicale confusione, quando anche agli uomini della Chiesa cattolica dei più alti livelli piace lodare ed inneggiare Martin Lutero, vorremmo brevemente esporre e valutare la sua teologia.

I La teologia di Martin Lutero

La teologia di Martin Lutero nei suoi tratti principali si può sintetizzare in quattro sue dottrine: Sola Scriptura, Sola Fides, Sola Gratia, e Solus Deus14 Vogliamo rivolgere uno sguardo su queste dottrine alla luce della Fede cattolica.

  1. Sola ScripturaLa prima dottrina, Sola Scriptura (sola la Scrittura), afferma che la Fede si basa solo sulla Sacra Scrittura, e che la Sacra Scrittura stessa interpreta la Sacra Scrittura (che significa in effetti poi che l'interpretazione è demandata alla persona che la legge), mentre la Chiesa Cattolica, in una dichiarazione del Concilio di Trento (s.4) ripresa nel Concilio Vaticano I (s.3 c.2), insegna, come abbiamo sopra evocato, che la Fede si basa sulla Rivelazione Divina (chiamata anche il Depositum Fidei), e comprende non la sola Sacra Scrittura (la parte scritta del Depositum Fidei), ma anche la 'Tradizione' (la parte orale del Depositum Fidei). L'autorità sul Depositum Fidei non la possiede la singola persona, bensì la Chiesa. La Chiesa ha stabilito quali sono i Libri che appartengono alla Sacra Scrittura e la Chiesa interpreta questi Libri e i dati della Tradizione orale per stabilire i dogmi della Fede. Un esempio di un dogma dichiarato dalla Chiesa sulla base della Sacra Scrittura è l'Ascensione; un esempio di un dogma dichiarato dalla Chiesa sulla base della Tradizione orale è l'Assunzione.
  2. Sola Fides
    La Seconda dottrina, Sola Fides (sola la Fede) afferma che per la salvezza sia necessaria solo la Fede, e non la Fede e le opere come insegna la Chiesa. A questo riguardo il sacro Concilio di Trento (s.6 c.10) cita le parole seguenti dell'epistola di san Giacomo (2. 24): ‘Vedete che l'uomo viene giustificato dalle opere e non solo dalla Fede’. Orbene, per la salvezza sono necessarie sia la Fede sia la Carità (o le opere di Carità), e mentre i falsi ecumenisti agiscono come se bastasse solo la Carità, Martin Lutero pretende che basti solo la Fede. L’azione di Lutero nei riguardi dell'epistola di San Giacomo, che riporta chiaramente la dottrina Cattolica, fu quella di cancellarla dal suo nuovo canone della Sacra Scrittura definendola semplicemente una ‘epistola di paglia’. Da ciò vediamo come Lutero fosse meno motivato dalla Sacra Scrittura che dai suoi propri presupposti soggettivi. Lo stesso vale per altre parti della Bibbia da lui cancellate. Bisogna inoltre tenere a mente che Lutero intende la Fede in un senso ben diverso da quello cattolico. Per Lutero la Fede consiste nella fiducia che Dio nella Sua misericordia perdonerà l'uomo a causa di Cristo, mentre la Chiesa insegna che la Fede consiste nell'accettare la Rivelazione sull'autorità di Dio che la rivela. Lutero comunque perse completamente la Fede cattolica già al primo momento quando rinnegò un articolo di Fede, perché, come abbiamo fatto notare nel capitolo scorso, chi nega anche un solo articolo di Fede nega l'autorità di Dio che l'ha rivelato.
  3. Sola GratiaCon la terza dottrina, Sola Gratia (sola la Grazia), Lutero afferma che col Peccato Originale la natura umana si fosse totalmente corrotta, e così l'uomo divenisse incapace di conoscere la verità religiosa e di agire liberamente o moralmente, cosicché la Grazia non potesse guarire l'uomo, ma solo coprire la sua peccaminosità. La Chiesa, invece, insegna che la natura umana è solo caduta e ferita, e può essere guarita dalla Grazia; l'uomo può conoscere la verità e possiede il libero arbitrio con cui collabora con la Grazia per agire moralmente, anche se ciò implica per lui spesso una grande lotta.
  4. Solus DeusLa quarta dottrina, Solus Deus (solo Dio), significa che la Salvezza viene direttamente da Dio e non attraverso la Chiesa, il Sacerdozio, i Sacramenti, l'intercessione della Beatissima Vergine Maria e dei Santi. Lutero pretende che l’accesso a Dio avvenga direttamente. Non riconosce l'intima unione fra Dio e la Chiesa: Dio nella Sua divinità e Dio nella Persona di Nostro Signore Gesù Cristo.
          a) Dio infatti, in virtù della Sua Maestà sublime e divina, ha stabilito un ordine gerarchico in tutte le cose, sia naturali che sovrannaturali, sia in terra che in Cielo, sia in Purgatorio che in Inferno; e attraverso questo ordine gerarchico ed intermediario opera per i Suoi scopi ineffabili. Quanto alla Redenzione, opera mediante il Fiat della Beatissima Vergine Maria; mediante l'Incarnazione, la Passione, e la Morte del Suo Divin Figlio; e, riguardo al particolare punto in discussione, mediante la Santa Chiesa Cattolica e i suoi Sacramenti.
         b) Dio inoltre, nella Persona di Nostro Signore Gesù Cristo, prolunga la Sua vita terrena ed il Suo operare terreno nella Sua Chiesa: la Sua vita terrena nella Chiesa quale Suo Corpo Mistico, ed il Suo operare attraverso i Sacramenti dove Egli opera in prima Persona. L'esempio più sublime e glorioso del Suo operare è indubbiamente la Santa Messa dove continua ad offrirSi e ad immolarSi al Padre in ogni momento del giorno e della notte in una santa Messa qualche parte nel mondo, e lo farà fino alla fine dei tempi.
             Di fatto Lutero professa solo due Sacramenti: il Battesimo, e ciò che a lui piacque definire come ‘la cena’ in sostituzione della Santa Messa, a cui nega la natura sacrificale.
*

Ecco dunque una breve sintesi della dottrina di Martin Lutero contenuta nei quarantuno Articoli condannati dal Papa Leone X con la ‘Damnatio in globo’ nella Bolla ‘Exsurge Domine’ 1520, ‘rispettivamente come eretici o scandalosi, o falsi od offensivi degli animi pii, o atti a sedurre le menti dei semplici’.

II La Natura Eretica della Teologia di Lutero

Ora, secondo il Codice di Diritto Canonico (CIC 1981 Can. 751) che abbiamo citato sopra, ‘Vien detta Eresia, l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per Fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa …’. Avendo negato delle verità della Fede, Martin Lutero è eretico, dunque, ossia un eretico formale. Anzi, in virtù della quantità di eresie che ha concepito ed insegnato, il numero di sette protestanti che ha generato, e il danno che in seguito ha recato alla Chiesa cattolica, merita di essere chiamato ‘Eresiarca’, o principe degli eretici, o piuttosto l'Eresiarca per eccellenza.

III Il Fallimento della Teologia di Lutero

Vogliamo adesso mostrare brevemente come fallisce la teologia di Lutero.
  1. Con le parole 'Sola Scriptura', rigetta il ruolo della Chiesa riguardo la Sacra Scrittura, ma rigettando il ruolo della Chiesa, rigetta la Sacra Scrittura stessa perché la Chiesa ce ne fornisce il vero significato.
  2. Con le parole 'Sola Fides', rigetta il ruolo delle buone opere, ma rigettando le buone opere rigetta anche la Fede perché la Fede senza le opere è morta (San Giacomo 2. 17).
  3. Con le parole 'Sola Gratia' rigetta il ruolo del libero arbitrio, ma così facendo rigetta anche la Grazia, perché la Grazia santificante (prescindendo dal caso del Battesimo degli Infanti) è essenzialmente una collaborazione con il libero arbitrio.
  4. Con le parole 'Solus Deus' rigetta il ruolo della Chiesa, ma così facendo rigetta anche Dio perché la Chiesa ci dà l'accesso a Dio, e la Chiesa è, in un certo senso Dio, nella forma del Corpo Mistico di Cristo.
In altri termini, nel voler ricercare l’essenza della Sacra Scrittura, della Fede, della Grazia e di Dio, Lutero in effetti li separa dalle altre realtà con cui sono necessariamente legate, ossia la Chiesa (Docente), le opere, il libero arbitrio, e la Chiesa (Santificante); e così facendo finisce per perderne l’essenza. In tutti questi quattro casi Lutero, rigettando elementi della Fede, smarrisce la comprensione della Rivelazione intera, come anche gli Ebrei, rigettando il Messia, smarrirono la comprensione della Rivelazione intera, giacché il Messia ne è la chiave. Così le parole del Signore si verificano per Lutero come si erano verificate per gli Ebrei: ‘a colui che non ha sarà tolto anche quello che ha’ (Mt.13,12).

IV L'Essenza della Teologia di Lutero

Se volessimo riassumere in una sola parola tutta la teologia di Martin Lutero questa sarebbe ‘soggettivismo’. Piuttosto di sottomettersi all'autorità della Chiesa per conoscere l'oggetto della Fede, per conoscere la vera interpretazione della Fede, nonché per accettare la Fede, Lutero preferisce stabilire da se stesso l'oggetto della Fede (ossia la Sacra Scrittura) e la sua vera interpretazione, e sostituisce l'atto di Fede (che secondo la Chiesa Cattolica consiste, come già detto, nell’accettare il corpo dei dogmi cattolici oggettivi) con uno stato mentale prettamente soggettivo assunto dalla persona nel proprio rapporto con Dio. La radice psicologica del soggettivismo sembra essere il pesante senso di colpa di Lutero che ritroviamo anche nella formulazione della sua dottrina di una natura umana totalmente corrotta.

Come mostra Romano Amerio in Iota Unum, questo soggettivismo viene espresso chiaramente nel suo Articolo 29, citato da san Pio X nella enciclica Pascendi : ‘Ci è dato un mezzo per snervare l'autorità dei Concili e contraddire liberamente ai loro atti e per proclamare liberamente tutto quello che ci sembra vero’. In questo senso le quattro dottrine sopra evocate si possono esprimere più accuratamente 'Solus Martin Lutero'.

V. L’Eredità di Lutero

L'eredità di Lutero la troviamo non solo nelle sette protestanti, ma da circa cinquant’anni anche in seno della stessa Chiesa Cattolica e nella mentalità moderna in generale. Tra i cattolici d’oggi, l’eredità di Lutero (e del Protestantesimo) la troviamo nelle dottrine, talvolta mescolate con dottrine cattoliche, sull’autointerpretazione della Sacra Scrittura, in quegli atteggiamenti del concepire la Chiesa come istituzione di uomini e come ‘peccatrice’, e del concepire la Santa Messa come ‘cena commemorativa’ ove il sacerdote funge meramente da ‘presidente’.

Riscontriamo inoltre un soggettivismo radicale diffuso tra cattolici che non riescono a comprendere che la Fede è oggettivamente vera, e che la devono proclamare ed insegnare come tale, e invece cercano la comunione con altre confessioni o religioni nel nome di un Ecumenismo indefinito e vago; un soggettivismo radicale che si oppone ai concetti di dogma, eresia, ed anatema; un individualismo che cerca un diretto rapporto con Dio in tutto, prescindendo dalla Chiesa, dal sacerdozio o dai Sacramenti, in particolar modo santa Messa domenicale e Confessione.

Si riscontrano elementi protestanti particolarmente nel ‘movimento carismatico’ dentro la Chiesa Cattolica fin quanto questo costituisce un allontanamento da Chiesa, Dogmi, e Sacramenti, verso la sperimentazione del rapporto diretto con Dio.

Questi elementi sono presenti specialmente in quel gruppo carismatico conosciuto come ‘il Cammino Neocatecumenale’ che sostiene la peccaminosità radicale dell'uomo; nega la vera natura della Chiesa, il sacerdozio sacramentale, la natura sacrificale della Santa Eucarestia in favore di una concezione di ‘cena’ o festeggiamento; nega la Presenza Reale, almeno nei frammenti del Santissimo Sacramento; proibisce la santa Comunione sulla lingua; riserva dubbi sulla Transustanziazione; disconosce il Sacramento della Penitenza; e insegna l'autointerpretazione della Sacra Scrittura (o almeno professava tutte queste eresie o pratiche modernizzanti fino - lo speriamo - alle modifiche impostegli recentemente dalla Santa Sede)

Luteranesimo e protestantesimo, per quanto al loro rapporto con la mentalità moderna, fanno parte, o promuovono, quella grande corrente di soggettivismo che spianò la strada a Cartesio, all'idealismo, alla filosofia moderna in generale, e che allontana il mondo da Dio e dal Vero, dal Bene, e dal Bello, verso l'ateismo ed il nichilismo.

Alla luce di queste considerazioni risulta difficile trovare il motivo per cui un cattolico possa lodare Martin Lutero.

VI I Presunti Meriti di Lutero

Alcuni lodano Martin Lutero per una sua sincerità, fiducia, chiarezza su cui basa le sue dottrine, e la sua coscienziosità, ma tali qualità non hanno alcun valore se non si rapportano alla realtà oggettiva: il Vero oggettivo, ed il Bene oggettivo. Tuttavia per Lutero non fu così, perché nella sua dottrina egli sostituisce la verità oggettiva con la sincerità; recide fiducia, chiarezza, e coscienziosità dai criteri oggettivi che a queste danno valore: recide la fiducia dall'autorità di Dio e della Chiesa, recide la chiarezza dalle proprietà intrinseche della verità, e recide la coscienziosità dalla legge morale oggettiva a cui è ordinata. Ne consegue che sincerità, fiducia, chiarezza, e coscienziosità divengano meri stati mentali soggettivi dell'individuo e moralmente indifferenti. Questi elementi rappresentano così solamente ulteriori manifestazioni del suo radicale soggettivismo.

Altri lodano Martin Lutero per aver attaccato gli abusi morali del Clero e della Gerarchia del suo tempo, anche se Lutero non potrà certo essere proposto come modello di moralità cristiana essendo sacerdote cattolico agostiniano 'sposato' con una suora religiosa, che ebbe a dire: ‘Pecca fortiter, sed crede fortius: Pecca pure fortemente, ma sii ancora più forte nella tua Fede’.

In ogni caso il danno prodotto da certi uomini della Chiesa fu sicuramente inferiore a quello causato da Lutero: non tanto per la guerra civile che scatenò in Germania e per la divisione religiosa di tutta Europa, quanto per il danno recato ad innumerevoli anime immortali con la sua sfigurazione della Fede Cattolica.

No, il vero bene scaturito dalla Riforma di Martin Lutero è quello che Dio, nella Sua misericordia infinita, si è degnato di trarre da tanti e così grandi mali: il grande bene che fu il Sacro Concilio di Trento, che ha codificato e stabilito per sempre il Rito Romano antico e ha definito dogmaticamente la Fede Divina e Cattolica sulla Sacra Scrittura, sulla Tradizione, sul Peccato Originale, sulla Giustificazione tramite Fede e opere, sui meriti, sui sette Sacramenti, sul Purgatorio, sul Culto dei Santi e sulle Indulgenze, così che tutti i Cattolici di tutte le epoche successive potessero godere di quell'inesauribile fonte di grazia e di santità che è il Rito Romano antico, e che potessero conoscere queste Verità eterne, accettarle in spirito di devota sottomissione e umiltà, e vivere secondo queste alla gloria del Dio Trino ed Uno e per la salvezza delle loro anime. Amen. 

Tratto dal libro "La fede e l'eresia" di un Sacerdote cattolico

venerdì 20 ottobre 2017

La Santa Messa XII - Dal Pater Noster alla Comunione

Pubblicazione precedente: http://traditiomarciana.blogspot.com/2017/09/la-santa-messa-xi-dallunde-et-memores.html

XLIII. L'Orazione Domenicale


Introducendola con delle magnifiche parole, che ci ricordano che abbiamo ricevuto questa preghiera direttamente dalle labbra di Nostro Signore, la Chiesa a questo punto prescrive di recitare il Pater Noster, detto per l'appunto anche Orazione Domenicale, perché dettata da Gesù Cristo medesimo. La posizione di questa preghiera nel rito romano è sempre stata la medesima, perché la ritroviamo in tutti i documenti; in origine, così come ancora oggi in tutti gli altri riti orientali e occidentali, essa seguiva la frazione del pane, che avveniva subito dopo la fine del Canone. S. Gregorio Magno, tuttavia, ritenendo che la Preghiera del Signore facesse parte del Canone, spostò la Frazione dopo di essa, invertendo l'ordine più antico.
La preghiera del Signore, in tal modo, quasi congiunge la parte precedente, nella quale la ragione primaria del Sacrificio è Sanctificetur nomen tuum, con la parte susseguente nella quale s’intende principalmente la santificazione dell’uomo tramite la SS. Eucaristia, Panem nostrum quotidianum. La preghiera del Signore, “sommario di tutto il Vangelo” (Tertulliano), secondo S. Girolamo è recitata nella Liturgia per istituzione dello stesso Signore: “Così insegnò ai suoi discepoli, perché quotidianamente nel Sacrificio del suo Corpo osino dire: Pater noster, qui es in coelis, etc.”.

Nell'Orazione Domenicale noi facciamo sette petizioni a Dio, tre per la sua gloria e quattro per le nostre necessità:
  1. Sanctificetur nomen tuum: chiediamo che a Dio e al suo Santo Nome siano rese la gloria e l'onore che gli si addicono
  2. Adveniat regnum tuum: chiediamo che sia instaurato al più presto il suo Regno, nel quale egli manifesterà la sua regalità su tutto e su tutti
  3. Fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra: chiediamo che le azioni degli uomini siano conformi alla volontà divina, così come lo sono quelle degli angeli nei cieli
  4. Panem nostrum quotidianum da nobis hodie: chiediamo di cibarci del nostro pane quotidiano, intendendo sì quello materiale, il nostro sostentamento, cui Dio provvede perché "sa di cosa abbiamo bisogno", ma soprattutto quello spirituale, la SS. Eucaristia, il corpo di Nostro Signore, il pegno per la vita eterna, che abbiamo davanti sull'altare.
  5. Dimitte nobis debita nostra: chiediamo la remissione dei nostri peccati, impegnandoci al contempo a rimettere egualmente ai nostri fratelli i torti che avessimo subito, siccome Iddio ci comandò: "dimittite et dimittimini".
  6. Ne nos inducas in tentationem: chiediamo a Dio di preservarci dalla tentazione demoniaca, alla quale egli talvolta acconsente d'esporci affinché possiamo esser provati e meritare le celesti ricompense, ma che è sempre una facile occasione di peccato contro la sua Maestà
  7. Libera nos a malo: chiediamo a Dio di liberarci dall'azione del Maligno, del Demonio che continuamente ci tenta e ci spinge al male, e indirettamente anche dal male che avessimo commesso su suo proditorio consiglio.
Alla fine il Sacerdote risponde in segreto Amen, del quale il Catechismo Romano: “La Chiesa nel Sacrificio della Messa, quando si recita la preghiera domenicale, non attribuì l’incarico di dire Amen ai ministri inferiori ai quali tocca di dire sed libera nos a malo, ma la riservò allo stesso Sacerdote, il quale, come interprete tra Dio e gli uomini, risponde al popolo che Dio è placato”.

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutione formati audemus dicere:

Pater noster, qui es in caelis, Sanctificetur nomen tuum. Adveniat regnum tuum. Fiat voluntas tua, sicut in coelo et in terra. Panem nostrum quotidianum da nobis hodie. Et dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris. Et ne nos inducas in tentationem: 
R. Sed libera nos a malo. 
V. Amen.

Preghiamo: istruiti ai salutari precetti e formati alla divina istituzione, osiamo dire:

Padre nostro, che siete nei cieli, sia santificato il nome vostro. Venga il vostro regno. Sia fatta la vostra volontà, siccome in cielo pure in terra. Dateci oggi il pane nostro quotidiano. E rimetteteci i nostri debiti, siccome noi pure li rimettiamo ai nostri debitori. E non induceteci in tentazione:
R. Ma liberateci dal male. 
V. Amen.

XLIV. Embolismo

Subito dopo, il sacerdote prosegue segretamente la preghiera, sviluppandone la settima petizione, con la formula detta embolismo (letteralmente, "intercalazione"). In essa si chiede precisamente la liberazione:
  • Dai mali passati, di cui permangono gli effetti nelle cose sensibili, nella macchia della coscienza, nell'obbligo della pena da scontare o nella debolezza al bene. Benedetto XIV legge dunque quest'espressione come sinonimo di "peccati".
  • Dai mali presenti, da quelli che noi soffriamo presentemente, che Benedetto XIV rettamente identifica nelle tentazioni.
  • Dai mali futuri, da quelli imminenti in qualche pericolo futuro, che Dio potrebbe risparmiarci per la sua clemenza. Benedetto XIV particolarmente vede in ciò le pene che l'anima avrà da subire, siano esse temporali o eterne.
Nella preghiera poi il sacerdote, chiedendo l'intercessione della Beata Vergine e dei Santi Apostoli Pietro, Paolo e Andrea (inusuale aggiunta alla coppia di Apostoli che compare nella maggior parte delle preci latine), supplica Dio di concederci benignamente la pace, intendendo sia quella interna (il peccato), sia quella esterna (il turbamento). Intanto, si fa un segno di Croce con la patena, la quale, secondo la bella lettura del Quarti, significa la pietra posta sul sepolcro, e dunque [in questo momento] risveglia la memoria alla Morte di Cristo, dalla quale, redenti dai nemici, abbiamo ottenuta la pace. Il prete bacia poi la patena, per comunicare ad essa, ma soprattutto per la venerazione dello strumento ch'è atto a contenere il Corpo Sacratissimo di Nostro Signore Gesù Cristo.

XLV. Fractio panis e Commixtio

A questo punto, si compie un gesto estremamente importante nell'economia liturgica, perché riproduce esattamente ciò che fece Cristo durante l'Ultima Cena, la frazione del pane. Con il nome di Fractio panis, un tempo, si designava l'intera liturgia eucaristica. Il sacerdote mette la patena sotto l'Ostia, scopre il calice, prende l'Ostia e, tenendola al di sopra del calice, la rompe nel mezzo, dicendo intanto la conclusione dell'orazione precedente (Per eundem Dominum). Ripone allora sulla patena la parte che tiene nella mano destra; rompe una particella dell'altra metà che tiene nella mano sinistra, allora pone ugualmente sulla patena la parte dell'Ostia che aveva nella mano sinistra, e, tenendo al di sopra del calice la piccola particella che ha staccata, dice a voce alta: Per omnia sacula saeculorum. Il popolo, approvando la sua domanda e aderendo ad essa, risponde Amen. Allora, facendo tre volte il segno di croce sul calice con la particella che tiene sempre tra le dita, augura la pace di Cristo al popolo: la Chiesa non perde di vista la pace che ha domandato, e approfitta di quest'occasione per riparlarne.

La frazione dell'Ostia, secondo la mistica tradizionale, rappresenta la morte di Nostro Signore Gesù Cristo, mentre la sua commistione nel Calice ricorda la sua Risurrezione, quando Corpo e Sangue, un tempo lacerati della ferita, si riunirono nel Dio eternamente vivo. Si spezza sul Calice, perché, come argomenta il teologo Gabriel Biel, nel ferimento del Corpo di Cristo, il Sangue subito si versò dal Corpo. La Santa Ostia, poi, si divide in tre parti in onore della SS. Trinità, oppure, secondo i più, a imitazione della tripartizione del Corpo mistico di Cristo (militante, purgante e trionfante). L'Aquinate infatti: “La frazione dell’Ostia significa tre cose: primo ovviamente la stessa divisione del Corpo di Cristo fatta nella Passione; secondo la distinzione del Corpo Mistico secondo i diversi stati [Chiesa Militante, Purgante e Trionfante]; terzo la distribuzione delle grazie che provengono dalla Passione di Cristo”

Infine, la Commixtio, che è detta anche Consecratio, da non intendersi, secondo i più recenti liturgisti, nel senso di Consacrazione sacramentale; qui questa parola significa semplicemente "ricongiungimento di cose sacre" (Gueranger). Tuttavia, la scuola tridentina, e il Bellarmino tra i primi, sono di parere opposto: "Questa consacrazione null’altro è che una nuova significazione sacramentale: come infatti si dice esser consacrato ciò che acquista significazione sacramentale, così anche si dice essere di nuovo consacrato ciò che acquista un’altra significazione sacramentale. Infatti per quella commistione è significata la Risurrezione del Signore… infatti nella Risurrezione la Carne del Signore si congiunse nuovamente col suo Sangue. E così in quella commistione si fa una consacrazione, quando quelle specie, che divise rappresentano la Morte di Cristo, ora congiunte tra sé rappresentano la Risurrezione del Signore" (De Missa II).
La commixtio è detta anche dai vari teologi "Sacra Unione" o "Sigillo dei Misteri". Si è detto che questa raffigura la Risurrezione di Cristo, e dunque giustamente poi il sacerdote dà la pace al popolo, siccome il Risorto salutò i discepoli dando la pace; S. Tommaso aggiunge che anche i tre segni di Croce sul Calice sono una figura dei tre giorni che intercorrono tra la Morte e la Risurrezione.

Interessante è notare che la Chiesa Greca ha una doppia commistione: da una parte il Corpo che viene gittato nel Sangue, donde non verrà più levato perché sarà così somministrato ai comunicandi; dall'altra, dell'acqua bollente (detta ζέον), tenuta a riscaldare su un braciere nel Santuario, viene ministrata in quantità minima all'interno del Sangue di Cristo. Quest'uso bizzarro simboleggerebbe l'ardore dello Spirito Santo comunicato ai fedeli con la partecipazione al banchetto eucaristico, ma non fu introdotto prima del XIV secolo, ed è guardato con sospetto dai liturgisti romani, perché si rischia di corrompere il Sangue di Nostro Signore con vile sostanza.

XLVI. Agnus Dei e Pace



L'Agnus Dei è la speciale triplice invocazione con cui il sacerdote saluta la Vittima prima di prepararsi ad accostarvisi: questa è contemporaneamente cantata dal coro, perché anche i fedeli salutino solennemente la Vittima alla quale presto comunicheranno. L’Agnello indica il Salvator nostro, tramite Isaia, Giovanni Battista, e più spesso Giovanni Evangelista nell’Apocalisse; “Agnello” per l’innocenza, la mansuetudine, l’obbedienza e l’immolazione. Pare che questa litania, in cui si supplica l'Agnello di Dio condotto al macello di avere pietà della nostra miseria, sia di origine orientale, e sia stata introdotta a Roma nel VIII secolo da Papa Sergio I. L'ultima invocazione fu cambiata in dona nobis pacem, probabilmente per la vicinanza dello scambio di pace (vide infra), anche se alcuni videro in ciò un simbolismo, come S. Isidoro ("introduce l’orazione per il bacio della pace, perché tutti, con carità riconciliati tra loro, comunichino degnamente al Sacramento del Corpo e Sangue di Cristo"), o i liturgisti moderni come il Gueranger ("la terza volta aggiunge: Dona nobis pacem, perché l'Eucaristia, come abbiamo già detto, è il Sacramento della pace, per il quale tutti i fedeli si trovano riuniti").
Nelle Messe dei defunti, invece di miserere nobis, si dice: dona eis requiem, e la terza volta si aggiunge sempiternam, per esprimere chiaramente il carattere di quanto si dimanda per le anime dei fedeli trapassati: non già l'unione nella pace, ma il riposo nella pace eterna.

A questo punto, il Sacerdote, dopo aver recitato l'Orazione della Pace, bacia l’altare, che è la fonte della pace fra cielo e terra, frutto del Sacrificio, e con un abbraccio rituale, dà il bacio di pace al diacono, che la trasmette al suddiacono, il quale la trasmette agli altri membri del clero.
È uno dei riti più antichi della Messa, e un tempo la pace veniva trasmessa anche ai fedeli; poi, per ragioni di decenza, la pace si trasmise ai fedeli con uno strumento, cioè si dava da baciare una tavoletta con un’immagine sacra, cosa che si fa ancora in alcune circostanze. Una volta secondo l’esempio di Cristo e degli Apostoli (“salutatevi con un santo bacio”) la pace si dava con un bacio, dal XIII sec. soltanto con un abbraccio oppure con l’ “osculatorium” o “strumento della pace”, cioè per una piccola tavola sulla quale era scolpita o dipinta l’immagine del Crocifisso o della B. M. V. o di qualche Santo. Con questo rito la Chiesa intende unire i fedeli sia a Dio sia tra loro nel vincolo della carità e della pace, perché ricevano con frutto la Comunione sacramentale o spirituale. “Il popolo è preparato con la pace etc. Infatti questo è il Sacramento dell’unità e della pace. Ma nelle Messe dei defunti, nelle quali il Sacrificio è offerto non per la presente pace ma per il riposo dei morti, la Pace è omessa” (S. Tommaso)
Abbiamo già fatto notare che non si da la pace nelle Messe dei defunti: la medesima cosa si osserva il Giovedì Santo per protestare contro il bacio di Giuda, col quale Nostro Signore fu tradito e consegnato ai suoi nemici. Tale cerimonia si omette ugualmente il Sabato Santo, mantenendo così l'antico costume che si praticava quando la Messa si celebrava di notte: il gran numero dei neofiti avrebbe potuto esser occasione di confusione. E poi il Signore non rivolse ai suoi discepoli riuniti le parole Pax vobis, se non alla sera della Risurrezione. Per questo la Chiesa, volendo rispettare le più piccole circostanze della vita del suo celeste Sposo, omette nella Messa del Sabato Santo il canto dell'Agnus Dei, che richiederebbe il dona nobis pacem, e tralascia anche la cerimonia del bacio di pace, che non si riprende se non alla Messa del giorno di Pasqua. (Gueranger)

XLVIII. Orazioni preparatorie alla Comunione e Comunione del Sacerdote

Poi, il celebrante legge dal Messale altre due preghiere, di origine medievale (X secolo circa) per prepararsi alla ricezione del SS. Sacramento. In queste orazioni commemora tutta la missione salvifica di Nostro Signore Gesù Cristo, e benché indegno di comunicare al Suo Corpo Sacratissimo e al Suo Sangue Preziosissimo, lo supplica affinché le Sacre Specie non gli tornino a condanna (siccome ammonisce San Paolo nella lettera ai Corinzi: Qui enim manducat et bibit indigne, judicium sibi manducat et bibit), ma gli siano al contrario di giovamento per la vita sempiterna.


Dette queste orazioni, il Sacerdote genuflettendo adora il Sacramento. “L’adorazione qui è segnatamente prescritta come atto che dispone in maniera prossima alla Comunione. Poi, alzandosi dice: Panem cœlestem accipiam etc. per esprimere la fame e il fervente desiderio di questo Pane Celeste, con ciò dispone meravigliosamente l’anima a ricevere da esso una perfetta nutrizione e abbondanza dello spirito… e non aspetta di proferire eretto quelle parole, ma le pronunzia mentre si alza perché esprima un desiderio più fervente" (Quarti) Quindi, profondamente inchinato, tenendo la S. Ostia sulla patena, si batte tre volte il petto, proferendo con grande fede e umiltà le parole del Centurione del Vangelo, che Gesù Cristo stesso lodò: Domine non sum dignus! Inizia queste invocazioni ad alta voce e le prosegue segretamente, per richiamare l'attenzione del popolo; nell'uso francese, anche il campanello suonato tre volte richiama l'attenzione dei fedeli in questo momento. Poi, tracciando un segno di Croce con la S. Ostia e pregando perché la Comunione al Corpo di Nostro Signore gli sia di custodia all'anima nel viaggio verso la vita eterna, assume con reverenza la Specie. Dionigi Cartusiano insegna che il Sacerdote "deve ricevere [la S. Comunione] con grande affetto e somma riverenza, senza aver fretta ma ripensando ardentissimamente ai benefici di Cristo, specialmente l’Incarnazione, Passione, il suo amore per noi, tanta degnazione e liberalità per la quale si è degnato essere con noi e di farsi manducare da noi”. Per questo le rubriche del Messale prescrivono al prete di restare un poco nella meditazione del Santissimo Sacramento ricevuto, il quale ringraziamento si accompagna all'atto di grazie per eccellenza che ci è tramandato dalla Scrittura, il salmo CXV, in cui si rendono le dovute grazie a Dio per tutti i benefici che nel suo Corpo ci ha comunicati.
"Prendendo poi il Sacro Calice, quasi si risponde dopo essersi interrogato: dice Calicem salutaris accipiam etc., cioè il Calice della salvezza o di Cristo Salvatore. E poiché con questo Sangue ha ricevuto gli stessi beni, per entrambi dice nomen Domini invocabo. Laudans invocabo Dominum et ab inimicis meis salvus ero. È infatti il singolare potere di questo Sangue, che fa fuggire lontano i demoni e gli altri nemici spirituali, perché la Redenzione è stata fatta “col Prezioso Sangue di Cristo, dell’Agnello immacolato e incontaminato”; è il Sangue adombrato nel sangue dell’agnello pasquale, del quale unti gli stipiti, l’angelo sterminatore passava oltre". (Commentatori varj)
Il Papa, secondo gli usi antichi, dà una parte dell’Ostia al diacono e una al suddiacono; ugualmente, dopo aver comunicato al Preziosissimo Sangue tramite la fistula (una cannuccia d’oro), ne lascia una parte ai medesimi ministri.

XLIX. La Comunione dei fedeli


Subito dopo la sua Comunione, il Sacerdote l’amministra ai fedeli che lo desiderassero, la qual cosa era per verità divenuta sempre più rara nel corso dei secoli, tanto che i Padri Tridentini vollero inserire nei decreti questa frase: “Il Sacrosanto Sinodo desidererebbe certo che in ogni Messa i fedeli presenti si comunicassero non solo spiritualmente, mediante il desiderio, ma anche col ricevere sacramentalmente l’Eucarestia” (canone XXII, Concilio di Trento). In ogni caso, solo a partire dal Pontificato di S. Pio X i fedeli iniziarono a ricevere frequentemente (settimanalmente o taluni quotidianamente) la S. Eucaristia, mentre molti Cattolici Orientali si attengono ancor oggi al costume medievale di comunicarsi una-due, massime tre, volte all'anno.
Il rito della Comunione dei fedeli di per sé non fa parte della Messa, ma è un rito a sé stante contenuto nel Rituale Romanum, che può dunque esser officiato a questo punto della Santa Liturgia, ma anche al di fuori di essa, in qualsiasi momento ve ne fosse la necessità. Indubbiamente, però, il momento più opportuno per la distribuzione della S. Eucaristia è proprio il culmine della Divina Liturgia, durante la quale alla Consacrazione di questo stesso Santo Corpo si è assistiti con devozione.

Poiché la purità dell’anima, l’umiltà con la fiducia è un’ottima disposizione per ricevere il Dio tre volte Santo (“cor contritum et humiliatum, Deus, non despicis”), alla S. Comunione viene premesso il Confiteor, seguito come sempre da Misereatur e Indulgentiam, ovverosia dall'assoluzione intercessoria che agisce ex opere operantis, col segno di Croce, per la cui potenza è data la remissione dei peccati. Intanto, se il SS. Sacramento è custodito nel Tabernacolo, il sacerdote apre quest'ultimo e, con copia di venerazioni e genuflessioni, estrae il Santissimo e lo pone sull'altare.
Indi, voltosi al popolo tenendo in mano la pisside e mostrando la S. Ostia, pronuncia le parole con cui il Battista additò per la prima volta il Salvatore, additando così ai fedeli il cibo salutare, il Corpo di Nostro Signore. I ministri, dunque, ripetono tre volte la preghiera del Centurione (vide supra) battendosi altrettante volte il petto; anche il sacerdote dice questa preghiera, e lo fa a nome di tutti i fedeli comunicandi che, per ignoranza o altro, non potessero dire almeno sottovoce questa invocazione preparatoria per la S. Comunione.
Avviene dunque la distribuzione della S. Ostia  ai fedeli, devotamente inginocchiati alla balaustra, le donne col capo velato. Sulla balaustra è stata stesa una tovaglia, poiché diventa la mensa cui i fedeli ricevono la Divina Eucaristia, e sotto di essi il diacono o un ministrante regge un piattino, affinché, se l'Ostia dovesse cadere, non venga profanata. Così il De Carpo descrive questo santo momento: "Porgendo a ciascuno il SS. Sacramento [il Sacerdote] fa con Esso un segno di Croce sulla pisside, per benedire il comunicante, o per indicare che questo è lo stesso Corpo di Cristo che fu affisso sulla Croce. Una volta prima della Comunione, era gridato ad alta voce: Sancta Sanctis (che si fa ancora oggi nella Chiesa Greca), e il popolo acclamava: Unus Sanctus, unus Dominus Jesus ; allora il Sacerdote dando la S. Eucaristia ai singoli diceva: Corpus Christi, ed i singoli rispondevano: Amen. La formula odierna, notevolmente più lunga, è di origine relativamente tarda, ma meglio esprime il salutare valore della S. Comunione Sacramentale. Un tempo c’era un triplice modo con cui i laici comunicavano alla specie del vino: o il Diacono accostava il Calice alla loro bocca, o suggevano la sacra specie dal Calice con una canna o “fistula” (la quale oggi spetta solo al Papa, vide supra, ndr), o infine, dopo il XII sec., il Corpo del Signore era cominciò a essere universalmente dato ai fedeli intinto nel Vino consacrato. A partire dal secolo successivo, però, per evitare profanazioni, si preferì evitare di somministrare il Prezioso Sangue ai laici, facendoli comunicare alla sola Ostia. I Concili di Costanza (1425) e di Trento (nel 1562), essendo l’intero Cristo presente sotto ciascuna Specie, hanno dichiarato la non necessità della Comunione sub utraque specie ed anzi hanno evidenziato la possibilità di scandali o sacrilegi. Essa, ciononostante, non è vietata, e previa speciale autorizzazione episcopale può essere somministrata ai fedeli. Presso i Greci vige invece tuttora l'uso antico di comunicare al Corpo intinto del Sangue, distribuito mediante un cucchiaino, secondo un uso che in Oriente raccomandava già S. Giovanni Crisostomo (IV secolo).

mercoledì 11 ottobre 2017

Il Concilio di Efeso e la Divina Maternità di Maria

Nel 1931, quindici secoli esatti dopo la chiusura del Concilio di Efeso, terzo dei Concilii Ecumenici, Papa Pio XI volle istituire solennemente per l'11 ottobre, la data per l'appunto della definizione finale delle verità di fede stabilite in quel consesso, o per meglio dire la data della conferma delle decisioni già prese il 22 giugno dello stesso anno, la festa della Divina Maternità della Beata Vergine Maria.


Il Concilio d'Efeso fu convocato per il 7 giugno 431 dall'Imperatore Teodosio II, con l'accordo di Papa Celestino I, su richiesta del Patriarca di Alessandria S. Cirillo, il quale aveva avuto molto a che scontrarsi con le tesi eretiche propugnate da Nestorio. Infatti, nel pieno dei dibattiti cristologici sulle due nature di Nostro Signore, si trovò ad avere particolare successo la tesi del nestorianesimo, la quale, pur sostenendo la coesistenza di due nature in Gesù Cristo, a differenza dunque del monofisismo, negava l'unione ipostatica tra di esse, ritenendole completamente separate: l'uomo-Cristo era solo Θεόφορος, portatore di Dio, perché portava in sé l'essenza del Λόγος divino, non condividendosi però con lui totalmente. La più grande conseguenza di questa tesi era avvertibile in campo mariologico, e dunque anche nel culto mariano: essendo la natura umana di Cristo disgiunta da quella divina, solo la prima era stata generata dalla Vergine Maria, la quale era dunque Χριστοτόκος, genitrice di Cristo, e nulla più. L'eresia nestoriana rischiava tuttavia di catalizzare gran parte del mondo cristiano, dopo che, nel 428, l'eresiarca era stato nominato Patriarca di Costantinopoli, e ciò spinse il campione d'ortodossia S. Cirillo a perorare la causa del Concilio anzi all'Imperatore.

S. Cirillo d'Alessandria
Ciò che permise la risoluzione in tempi rapidi del Concilio di Efeso fu un imprevisto, che fece ritardare diversi dei partecipanti: gli stessi legati del Papa di Roma arrivarono dopo la data prevista, e il Patriarca Cirillo fremeva per l'apertura delle sessioni. Il concilio fu definitivamente aperto il 21 giugno, due settimane esatte dopo, quando a mancare ormai erano solo Giovanni Antiocheno e gli altri vescovi siriani, ossia la quasi totalità dei nestoriani che avevano diritto a prender parte al Concilio. Vista la situazione favorevole, S. Cirillo, in qualità di presidente, decise di aprire le sessioni. La prima si tenne il giorno successivo: il Patriarca Alessandrino e il Papa Romano presentarono una loro professione di fede, e chiesero ai Padri di confrontarla con quella nestoriana: essi conclusero che la prima era decisamente più aderente al Credo niceno rispetto alla seconda, che fu rigettata. Nei giorni immediatamente successivi, i Padri accolsero come verità di fede la tesi sostenuta da S. Cirillo in una sua lettera privata a Nestorio, nella quale per la prima volta compariva il termine di Θεοτόκος, genitrice di Dio, dacché la Beata Vergine avea partorito "Dio come uomo". Successivamente, 197 Padri firmarono il decreto di condanna delle tesi di Nestorio come gravemente eretiche.

Il 26 giugno, quando giunsero Nestorio e Giovanni, trovarono la situazione precipitata, e si affrettarono dunque a convocare un conciliabolo che condannasse come eretici Cirillo e Memnone di Efeso, suo grande sostenitore. Le tensioni tra i nestoriani e i cattolici, che si ripercuotevano non solo nella conduzione di due sinodi separati (intanto, il 31 luglio anche le ultime due dichiarazioni di fede erano state firmate dai Padri Efesini), ma anche sulla popolazione locale, pure essa divisa tra ortodossi ed eretici, andarono avanti senza eventi sostanzialmente determinanti, sinché l'11 ottobre l'Imperatore Teodosio stesso sancì la fine dei lavori del Concilio, venendo conseguentemente approvati e pubblicati gli otto canoni e i dodici anatematismi elaborati durante i cinque mesi di lavoro.

Dopo il Concilio di Efeso, il nestorianesimo fu proclamato fuorilegge da Teodosio II all'interno dell'Impero: gli eretici fuggirono in maggior parte nel vicino Impero Sasanide, dove fu ufficialmente adottato il culto nestoriano (sinodo di Seleucia, 486), che perdurò nei secoli, conoscendo una massiccia evangelizzazione sino alla Cina, e sopravvisse anche all'ondate islamiche, resistendo tuttora in alcune Chiese Orientali, come quella Caldea, separate, indipendenti ed eterodosse, ancorché una parte di esse nel XV secolo ammendò i propri errori e si riconciliò alla Chiesa Cattolica.

Icona della SS. Theotokos,
come si evince dal nomen sacrum
ΜΡ ΘΥ, stante per Μήτηρ Θεοῦ,
ossia "la Madre di Dio".
Il titolo di Θεοτόκος è probabilmente uno dei più cari alla spiritualità bizantina e orientale, essendo quello con cui più spesso è invocata la Beata Vergine; non bisogna tuttavia dimenticare che nella preghiera mariana occidentale per eccellenza, l'Ave Maria, si contiene comunque l'equivalente espressione Mater Dei. La festa della Divina Maternità, che come accennavamo all'inizio si celebra l'11 ottobre nel Rito Romano, è festeggiata anche dalle altre Chiese Orientali e Occidentali, ancorché in date diverse: nel rito bizantino e in quello ambrosiano, exempli gratia, si celebra attorno al Natale di Nostro Signore, subito dopo nell'uso greco e subito prima in quello milanese.

ATTI DEL SACROSANTO CONCILIO DI EFESO (excerpta)

Sentenza di condanna di Nestorio:

Il santo sinodo disse: oltre al resto, poiché l'illustrissimo Nestorio non ha voluto né ascoltare il nostro invito né accogliere i santissimi e piissimi vescovi da noi mandati abbiamo dovuto necessariamente procedere all'esame delle sue empie espressioni. Avendo costatato dall'esame delle sue lettere, dagli scritti che sono stati letti, dalle sue recenti affermazioni fatte in questa metropoli e confermate da testimoni, che egli pensa e predica empiamente, spinti dai canoni dalla lettera del nostro santissimo padre e collega nel ministero Celestino, vescovo della chiesa di Roma, siamo dovuti giungere, spesso con le lacrime agli occhi, a questa dolorosa condanna contro di lui. Gesù Cristo stesso, nostro signore, da lui bestemmiato ha definito per bocca di questo santissimo concilio che lo stesso Nestorio è escluso dalla dignità vescovile e da qualsiasi collegio sacerdotale.

6 Canoni:

I. Scomunica per apostasia ai metropoliti che parteggiano per le tesi del pelagiano Celestio
II. Scomunica per apostasia ai vescovi che ritrattassero la condanna sottoscritta a Nestorio
III. Svincolamento dei chierici ortodossi dall'obbedienza ai vescovi nestoriani
IV. Deposizione e scomunica per apostasia dei chierici nestoriani
V. Conferma della deposizione per i chierici deposti dai vescovi ortodossi e reintegrati da Nestorio
VI. Scomunica per chiunque disattendesse a quanto stabilito dal Santo Concilio Efesino

2 Dichiarazioni conclusive:

I. Conferma della fede stabilita dal Concilio Niceno e anatema su chiunque si allontani da essa, con condanna della setta dei Messaliani.
II. Conferma dei diritti delle suddivisioni ecclesiastiche (Patriarcati e Provincie).

12 Anatematismi:

I. Se qualcuno non confessa che l'Emmanuele è Dio nel vero senso della parola, e che perciò la santa Vergine è madre di Dio perché ha generato secondo la carne, il Verbo fatto carne, sia anatema.
II. Se qualcuno non confessa che il Verbo del Padre assunto in unità di sostanza l'umana carne, che egli è un solo Cristo con la propria carne, cioè lo stesso che è Dio e uomo insieme, sia anatema.
III. Se qualcuno divide nell'unico Cristo, dopo l'unione le due sostanze congiungendole con un semplice rapporto di dignità, cioè d'autorità, o di potenza, e non, piuttosto con un'unione naturale, sia anatema.
IV. Se qualcuno attribuisce a due persone o a due sostanze le espressioni dei Vangeli e degli scritti degli apostoli, o dette dai santi sul Cristo, o da lui di se stesso, ed alcune le attribuisce a lui come uomo, considerato distinto dal Verbo di Dio, altre, invece, come convenienti a Dio, al solo Verbo di Dio Padre, sia anatema.
V. Se qualcuno osa dire che il Cristo è un uomo portatore di Dio, e non piuttosto Dio secondo verità, come Figlio unico per natura, inquantoché il verbo si fece carne e partecipò a nostra somiglianza della carne e del sangue, sia anatema.
VI. Se qualcuno dirà che il Verbo, nato da Dio Padre è Dio e Signore del Cristo, e non confessa, piuttosto, che esso è Dio e uomo insieme, inquantoché il Verbo si è fatto carne (43) secondo le Scritture, sia anatema.
VII. Se qualcuno afferma che Gesù, come uomo, è stato mosso nel Suo agire dal Verbo di Dio, e che gli è stata attribuita la dignità di unigenito, come ad uno diverso da lui, sia anatema.
VIII. Se qualcuno osa dire che l'uomo assunto dev'essere con-adorato col Verbo di Dio, con-glorificato e con-chiamato Dio come si fa di uno con un altro (infatti la particella con che accompagna sempre queste espressioni, fa pensare ciò), e non onora, piuttosto, con un'unica adorazione l'Emmanuele, e non gli attribuisce una unica lode, in quanto il Verbo si è fatto carne, sia anatema.
IX. Se qualcuno dice che l'unico Signore Gesù Cristo è stato glorificato dallo Spirito, nel senso che egli si sarebbe servito della sua potenza come di una forza estranea, e che avrebbe ricevuto da lui di potere agire contro gli spiriti immondi, e di potere compiere le sue divine meraviglie in mezzo agli uomini, sia anatema.
X. La divina Scrittura dice che il Cristo è divenuto pontefice e apostolo della nostra confessione, e che si è offerto per noi in odore di soavità a Dio Padre. Perciò se qualcuno dice che è divenuto pontefice e apostolo nostro non lo stesso Verbo di Dio, quando si fece carne e uomo come noi, ma, quasi altro da lui, l'uomo nato dalla donna preso a sé; o anche se qualcuno dice che ha offerto il sacrificio anche per sé, e non, invece, solamente per noi (e, infatti, non poteva aver bisogno di sacrificio chi noia conobbe peccato), sia anatema.
XI. Se qualcuno non confessa che la carne del Signore è vivificante e (che essa è la carne) propria dello stesso Verbo del Padre, (e sostiene, invece, che sia) di un altro, diverso da lui, e unito a lui solo per la sua dignità; o anche di uno che abbia ricevuto solo la divina abitazione; se, dunque, non confessa che sia vivificante, come abbiamo detto inquantoché divenne propria del Verbo, che può vivificare ogni cosa, sia anatema.
XII. Se qualcuno non confessa che il Verbo di Dio ha sofferto nella carne, è stato crocifisso nella carne, ha assaporato la morte nella carne, ed è divenuto il primogenito dei morti (47), inquantoché, essendo Dio, è vita e dà la vita, sia anatema.