giovedì 10 maggio 2018

In Ascensione Domini Nostri Jesu Christi

L'Ascensione nei mosaici del Duomo di Monreale (XII secolo)
Si celebra oggi, esattamente 40 giorni dopo la Pasqua di Nostro Signore, la gloriosa festa della sua Ascensione (in greco Ἀνάληψις), con la quale egli chiude il periodo di tempo trascorso sulla Terra in compagnia dei discepoli, e si ricongiunge completamente al Padre suo celeste, completando l’opera della nostra Redenzione (per questo motivo i Greci chiamano talvolta ἐπισῳζομένη, “salvezza”, tale festa). Gesù Cristo, ascendendo al cielo e venendo accolto dalle schiere angeliche e dal coro dei patriarchi che ha liberato dal limbo poche settimane prima, raggiungendo i beati, cui spetta la felice contemplazione fisica di Nostro Signore, non abbandona tuttavia i suoi se non fisicamente, restando sempre però spiritualmente vicino alla sua Chiesa, come aveva detto “ove due o tre son radunati nel nome mio, io sarò con loro”. Allo stesso modo, oggi celebriamo con una nota di melanconia la dipartita al cielo di Nostro Signore, ma continuiamo a cantare Alleluia, perché sapendo che Egli è risorto e ci ha provata la comune risurrezione non possiamo che esser lieti ed inneggiarlo, contemplandolo spiritualmente nella Santa Liturgia.

L’Ascensione iniziò a esser celebrata molto presto, probabilmente già a partire dal III secolo, poiché Agostino ce ne parla come di una tradizione ben consolidata nella Chiesa, presumendone . Inizialmente, però, doveva esser celebrata il cinquantesimo giorno, unitamente alla Pentecoste, solennità introdotta non troppo tempo prima, perché la pellegrina Egeria nel suo Itinerarium racconta sì d’aver assistito a una solenne celebrazione il quarantesimo giorno dopo Pasqua, ma dal luogo che ci fornisce, ossia la Grotta di Betlemme, siamo più propensi a pensare si trattasse della Dedicazione della Basilica della Natività, o la festa dei SS. Innocenti, celebrati a metà maggio in territorio gerosolimitano; ella, peraltro, ci racconta che invece il giorno di Pentecoste si tengono tre uffici, tra cui uno sul Monte degli Ulivi, durante il quale si legge il brano evangelico dell’Ascensione. Questa teoria è confermata anzitutto da degli scritti di S. Eusebio, nel quale egli considera l’Ascensione come il termine del periodo pasquale, precisando che quest’ultimo dura esattamente sette settimane. Durante il Concilio di Elvira (primi anni del IV secolo) fu per l’appunto discusso in quale giorno si dovesse celebrare l’Ascensione: la logica conclusione fu che non andasse celebrata né il dì di Pasqua né quello di Pentecoste, ma, siccome è scritto negli Atti, il quarantesimo giorno dopo la Risurrezione. Il primo libro liturgico pervenutoci che tratta la festa in tale data è il Lezionario Armeno del 417.

Edicola ottagonale sopravvissuta dell'antica
Basilica dell'Ascensione
All’ultimo decennio del IV secolo invece risale la Basilica dell’Ascensione (il nome originario è Ἐλεόνα βασιλικὴ), costruita in quel dipresso per volere della pia donna Poimenia (anche se, stando a S. Eusebio, alcuni la fanno risalire addirittura al 333 per desiderio di S. Elena e ordine di Costantino il Grande), la quale andò distrutta durante l’invasione dei Persiani di Cosroe II nel VII secolo, fu ricostruita in quello seguente, nuovamente distrutta e ricostruita dai Crociati, e infine distrutta definitivamente dai maomettani, sopravvivendone solo l’edicola ottagonale. Nel luogo, nonostante fosse stata poi edificata una moschea, i Cristiani continuano a venerare l’orma del piede destro di Gesù ivi impressa; esiste poi un monastero ortodosso sul Monte degli Ulivi.

Tra i riti antichi della chiesa gerosolimitana vi era, a mezzogiorno, la processione solenne diretta al Monte degli Ulivi (proseguita sino al Medioevo e diffusasi, con l’ovvia perdita del realismo del luogo, in alcune tradizioni occidentali), esattamente come avevano fatto Cristo e i discepoli. Si teneva anche una benedizione delle vivande, in particolare del pane e della frutta di stagione, a simboleggiare l’ultimo pasto fatto dal Salvatore nel cenacolo coi discepoli.

Anticamente, anche a Roma si teneva una processione sul modello di quella di Gerusalemme: il Papa, celebrati gli Uffici Notturni e la Messa a S. Pietro, procedeva verso l’ora sesta in processione con i Cardinali fino alla Basilica del Laterano.

Dal rito gerosolimitano derivano i testi sia della Messa Romana che la Divina Liturgia bizantina di questo giorno, che condividono dunque diversi passi. Vedremo quelli della Messa Romana a titolo esemplificativo.

La Messa di oggi presenta dei testi veramente notevoli, uno tra tutti l’Antifona dell’Introito, sopra riportata, la quale possiede, a detta dello Schuster, una delle melodie più belle di tutto il repertorio gregoriano. Essa è anche la prima antifona dell’Ufficio Divino, nonché la lettura alla Benedizione finale dell’Ora Prima, che continueranno a leggersi fino al termine dell’Ottava dell’Ascensione (rimontante all’VIII secolo). In tale Antifona, tratta dagli Atti degli Apostoli, oltre ad ammirare il mistero dell’Ascensione, ci viene ricordata anche la sua Seconda Venuta, la quale i Cristiani attendono bramosi.

La lezione è tratta dagli Atti di S. Luca, ed è la narrazione dell’episodio dell’Ascensione, così come lo sarà anche il Vangelo (che è quello di S. Marco), per la quale si vedano i capi precedenti.
Il versetto del Piccolo Alleluia è dal salmo LXVI, Ascendit Deus in jubilatione et Dominus in voce tubae, il quale è stato visto come profezia dell’Ascensione stessa, e come tale è presente anche all’Antifona dell’Offertorio e come versicolo anche ai Vespri di tutta l’ottava.

Dopo il Vangelo, un accolito si reca all’ambone per compiere il rito dello spengimento del cero pasquale (sarà acceso nuovamente solo la Vigilia di Pentecoste, per compiervi i riti della veglia), giacché esso simboleggia la presenza fisica di Nostro Signore Domineiddio su questa terra che si ha nel tempo Pasquale: oggi però egli fisicamente ci lascia e sale al Cielo, così come il fumo del suo lume spento ascende verso l’alto.

Oggi persino il Canone subisce delle piccole modificazioni per meglio esprimere il grande mistero celebrato, come ha fatto a Natale e a Pasqua: dopo il Prefazio, che già Papa Vigilio nel VI secolo cita scrivendo a Profuturo di Braga, in cui si ricorda come Gesù maniféstus appáruit et [...] est elevátus in coelum, ut nos divinitátis suæ tribúeret esse partícipes, il giorno gloriosoquo Dóminus noster, unigénitus Fílius tuus, unítam sibi fragilitátis nostræ substántiam in glóriæ tuæ déxtera collocávit è ricordato con speciale menzione prima dell’anamnesi dei Santi (Communicantes).

L'antifona per la Comunione deriva dal salmo LXVII : Psállite Dómino, qui ascéndit super coelos coelórum ad Oriéntem. Il più alto dei cieli qui significa il trono stesso della divinità, che oggi l’ umanità santa di Gesù va ad occupare. Egli si eleva dalla parte d'Oriente, perché tutte le opere di Dio sono splendide, luminose. [...] Il Cristo muore su d'una collina alla presenza di tutto un popolo nel gran giorno della Parasceve gerosolimitana; Gesù risorge e si fa vedere, palpare, non solo dagli Apostoli, ma dalle pie donne, e persino da cinquecento persone adunate insieme. Oggi egli sale al cielo, ma su d'una collina,alla presenza d’almeno undici persone.” (I. Schuster)

Particolare è il rito che osservano le Carmelitane riformate di S. Teresa: giacché tradizione vuole che l’Ascensione sia avvenuta a mezzodì, esse ne fanno particolare memoria, sostando in lunga contemplazione quando sono riunite in coro per l’Ora Sesta, quasi ammirassero realmente il Salvatore ascendere al Cielo anzi ai loro occhi.

Dalle letture patristiche del Mattutino traiamo infine questo bel commento di San Leone Papa sulla festività odierna:


I SERMONE SOPRA L'ASCENSIONE DEL SIGNORE
di San Leone I Magno, Papa di Roma

Quest'oggi, o dilettissimi, si compie il numero di quaranta giorni sacri trascorsi dopo la beata e gloriosa risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, colla quale, nello spazio di tre giorni, la potenza divina rialzò il vero tempio di Dio che l'empietà dei Giudei aveva distrutto, numero preordinato dalla santissima disposizione della provvidenza a nostra utilità e istruzione: perché il Signore prolungando in questo spazio di tempo la sua presenza corporale quaggiù, la nostra fede nella risurrezione vi trovasse le prove e la conferma necessarie. Perché la morte di Cristo aveva turbato assai i cuori dei discepoli: e lo stordimento della diffidenza era penetrato nei loro spiriti resi pesanti dall' angoscia causata dal suo supplizio sulla croce, dal suo ultimo sospiro, dalla sepoltura del suo corpo esanime. Perciò i beatissimi Apostoli e tutti i discepoli, ch'erano sgomenti per la morte (di Gesù) sulla croce ed avevano esitato sulla fede nella sua risurrezione, furono talmente confermati dall'evidenza della verità, che, lungi dall'essere rattristati al vedere il Signore ascendere nelle altezze dei cieli, furono al contrario ripieni di grande gioia. E certo, c'era là una grande ed ineffabile causa di gioia, allorquando in presenza di questa santa moltitudine, una natura umana s'innalzava al di sopra della dignità di tutte le creature celesti, per sorpassare gli ordini Angelici, per essere elevata più alto degli Arcangeli, e non arrestarsi nelle sue elevazioni sublimi che allorquando, ricevuta nella dimora dell'eterno Padre, ella sarebbe associata al trono e alla gloria di colui alla natura del quale si trovava già unita nel Figlio. Poiché l'ascensione di Cristo è la nostra elevazione; e il corpo ha la speranza d'essere un giorno dove l'ha preceduto il suo glorioso capo: esultiamo dunque, dilettissimi, con degni sentimenti di gioia, e rallegriamoci con pia azione di grazie. Perché noi quest'oggi non solo siamo stati confermati possessori del paradiso, ma nella persona di Cristo abbiamo penetrato ancora nel più alto dei cieli: e per ineffabile grazia di Cristo, abbiamo ottenuto di più di quanto avevamo perduto per invidia del diavolo. Infatti quelli che il velenoso nemico aveva bandito dalla felicità della prima dimora, il Figlio di Dio se li è incorporati e li ha collocati alla destra del Padre: col quale, essendo Dio, vive e regna insieme collo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Così sia.

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